Come far ripartire l’etica, da dove ricominciare

Simone D'Aurelio

(3 min. lettura)

Se c’è qualcosa di sepolto in questi ultimi decenni è sicuramente l’etica, l’uomo immerso nel turbocapitalismo, ormai o non tocca questo argomento, o lo tiene in completo disuso, sono in pochissimi che si interrogano al riguardo. Ma come siamo arrivati fino a questo punto? Come siamo arrivati a diventare sempre più freddi e distaccati, sempre più indifferenti alla nostra coscienza, fino a non considerare i problemi etici delle nostre azioni? La società può ripartire solo con un cambio etico come ho spiegato qui, sono gli uomini a fare la differenza, ma vediamo in questo articolo di mettere a fuoco l’etica. Sicuramente poche righe non possono mettere in luce l’insieme di un problema di enorme portata, ma qualcosa possiamo osservare: la rivoluzione filosofica targata Cartesio-Kant decide di tralasciare la realtà, la metafisica, e di iniziare ad analizzare la percezione, dando il seguito a una scia di filosofi che iniziano sempre di più a fare un discorso relativista, mettendo tra parentesi la realtà e iniziando un discorso che parte e finisce tra loro stessi. Proprio qui si insedia il vero problema perché la rottura metafisica porta a una rottura con l’etica in prima persona, in un’etica finita in terza persona, quindi trasformata in utilitarismo. I filosofi non possono dare risposta adeguate all’uomo perché si ripiegano eclissano anche dalla realtà, Antonio Poppi riassume benissimo il problema: “Sulla spinta dell’Umanesimo e del naturalismo rinascimentale, il cogito cartesiano ha richiuso nel soggetto pensante la determinazione frontale della verità e del valore: e da qui è cominciata la tragedia del mondo moderno. Dopo Cartesio, infatti, c’è stato un progressivo oblio dell’essere, un oscuramento e un rifiuto del senso cristiano della creazione, cioè di un essere già dato prima di noi e davanti a noi quale soggetto di scoperta e di rivelazione, a favore di una originaria posizione e costituzione dell’oggetto da parte del soggetto pensante. […] Dal punto di vista più puramente speculativo si è prodotta come una trasformazione del concetto stesso di filosofia: da ricerca e passione dell’essere, essa è divenuta un’analisi critica dell’attività della ragione, delle sue strutture logiche e possibilità conoscitive. Il soggetto si è come ripiegato su se stesso,sulla propria autocoscienza, perdendo il contatto con il mondo delle cose oggettivamente esistenti. Si spiega così perché i pensatori dell’ultimo secolo non siano più interessati a un filosofare di indole ontologica e metafisica, ma siano invece proliferate filosofie del linguaggio, dell’ermeneutica, dell’epistemologia ecc, fino all’esaurimento e all’insignificanza stessa del fare filosofia, ridotta all’esercizio di una conversazione di società, a confine con la chiacchiera.” (Antonio Poppi, Filosofia in tempi di nichilismo, problemi di etica e metafisica, Edizioni Scientifiche Italiane, 2002, pp. 68-69). La filosofia non potendo dare più risposte è annegata nel nichilismo. Il problema è che il rigetto metafisico è anche un rigetto verso l’intelligenza, arrivati in una società che vive nell’utilitarismo anche la razionalità si fa sempre più da parte, diventando in grado di parlare solo in un discorso puramente soggettivo. Si può ripartire solo riconoscendo la realtà,e le basi metafisiche che ci portano verso l’etica : “Si tratta di determinare ciò che “per natura è ragionevole”. La risposta a questa esigenza, raccogliendo una lunga tradizione precedente, è stata costruita da Tommaso d’Aquino colla sua teoria della legge morale naturale. La legge morale naturale non è altro che l’ordine prodotto naturalmente dalla ragione del soggetto che agisce, nelle inclinazioni e nelle azioni umane. Legge morale naturale non significa che questo: i principi della ragione pratica, in base ai quali la persona inclinata ad agire è guidata dal punto di vista cognitivo. È la regolamentazione cognitiva delle inclinazioni, operata dalla ragione che naturalmente riconosce la bontà delle inclinazioni stesse. La legge morale naturale quindi è essenzialmente diversa dalla regolamentazione statuita dalla legge positiva dello Stato e dalla rivelazione da parte di Dio di una legge divina. Poiché, come abbiamo visto, le virtù sono il sigillo della ragione nelle inclinazioni naturali dell’uomo, e la legge morale non è altro che l’indicazione operata dalla ragione circa il modo di realizzare le inclinazioni, possiamo anche dire che la legge morale naturale denota semplicemente i principi pratici delle virtù. Si può anche tralasciare la dizione legge morale naturale, che oggi è coperta da molti equivoci ed ambiguità. E dire: esistono principi pratici naturali dell’agire virtuoso.” (http://www.caffarra.it/lezione080312.pdf )

Foto di Octoptimist da Pexels

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