Cos’è la medicina oggi

Simone D'Aurelio

(4 min. lettura)

Cos’è diventata la medicina oggi? La domanda sembra banale, ma tralasciata la parte tecnica e i modi di agire, questa materia dovrebbe essere amore, altruismo, solidarietà, insomma attenzione ed affetto per i pazienti, cosa che spesso sembra essere dimenticata, molto spesso i medici sembrano stare in reparto solo per lo stipendio, per difendere il loro status, per la loro titolarità.  Quanti sono quelli che davvero vivono questo anche per amore del paziente? Che si preoccupano per lui?  A che serve il giuramento di Ippocrate? A che serve il prestigio se si è solo dei mercenari? In questi tempi di pandemia, la nota positiva è scoprire che vi sono stati dei medici che sono stati al fianco dei loro pazienti (molti radiati), e che si sono spesi per loro, che li hanno seguiti nei limiti del possibile, che hanno provato a rispondere a tutti, che non hanno chiuso la mente al motto “there is no alternative”, che non hanno augurato la morte dei loro pazienti non vaccinati, che non li hanno trattati come cani. Ma qual è la differenza tra i medici mercenari e quelli che ancora oggi amano i loro pazienti? Molta, anche a livello filosofico, ad esempio guardiamo la prima: questa, ormai non riconosce più quali sono i principi del proprio lavoro, quale dovrebbe essere la loro etica, il loro statuto, non gli importa più nulla. Non si impegnano più e in questa categoria molti medici pensano che la scienza sia solo il giudizio sintetico a priori, sono immersi nella nube kantiana, ma proprio questo segna il loro limite, e la loro fine, perché rinchiudono la ragione (falsamente) e la concezione di scienza in un recinto, per essere precisi, quindi la loro scienza è fare solo il ragionamento analitico a priori. Da qui il trionfo della prassi contro la sperimentazione, da qui il distacco della critica a favore delle indicazioni statali. Da questo punto si ragiona per protocolli su milioni di persone, si ragiona in modo meccanico, guardando la ragione come un ingranaggio e non come un organo, si pensa di nuovo in modo kantiano, ignorando che la stessa scienza (sotto qualsiasi livello, che sia la matematica, la fisica o altro) procede proprio per arrivare al giudizio sintetico a priori tramite il ragionamento sintetico a posteriori, è questa è una condizione obbligatoria per la scienza, e anche per il processo scientifico. I medici che erano i primi a parlare di cure, di seguire il paziente, sono stati trattati come degli appestati, ridicolizzati, radiati, bullizzati, eppure stavano ragionando con un ragionamento sintetico a posteriori, specialmente di fronte ad un virus nuovo sapendo anche che il rapporto con la medicina ha anche una nota soggettiva e non esiste una cura obbligatoria pseudo-preventiva universale che può andare bene a tutti. Ogni paziente ha la sua storia medica, non è un’anonima scatola che va catalogata, il rapporto medico/paziente è privato infatti per questo, dal medico non andiamo tutti insieme. Se non torniamo ai principi, alla ricerca del benessere del paziente (e non dei protocolli) è finita, se non proviamo a scorgere un minimo di empatia siamo messi male, se concepiamo la scienza con giudizi sintetici a priori sui nuovi prodotti e sulle strategie dobbiamo rivedere come ragioniamo. Da rivedere anche soprattutto la bellezza della medicina: essa è indagine, prudenza e sperimentazione, ed è anche critica scientifica, tutto questo però è possibile soprattutto quando c’è la passione e c’è l’amore, una sana critica scientifica può esserci quando un medico è libero da interessi e da febbre da virostar. È bruttissimo vedere un professionista andare a gridare il suo disprezzo a una determinata categoria e poi diventare un pendolo vivente della medicina con figure imbarazzanti sotto ogni punto di vista. Una vera scienza medica è fatta di amore, è fatta per ricercare la cura negli occhi di chi sta male, è fatta per alleviare le sofferenze, per ricercare soluzioni e non per chiudere la mente, scrollare le spalle e intascarsi l’assegno mensile, la medicina è arte medica, è intuizione, è sperimentazione, non è una ragion critica kantiana che si deve chiudere in preconcetti. Ma allo stesso tempo si muove in modo critico nei suoi passi specialmente su nuove scoperte o nuove sfide. Vi è un libro bellissimo scritto da Mario Bennatti intitolato “Beati e Santi con i malati, eroismo e carità negli ultimi cinque secoli”, in cui il dottore raccoglie un lunghissima testimonianza di grandi santi e anche di grandi dottori cristiani, che sembrano essere uniti da un filo conduttore: vedere nel prossimo le piaghe del Signore, ricordarsi del comandamento “ama il tuo prossimo come te stesso”, e allora niente sorci, niente sputate nei loro piatti, niente poltiglie verdi, semplicemente aprire il filo della razionalità, e tanto amore per il paziente. Non ci sarà più chiudersi a priori, si potrà riflettere sulla gestione, senza conflitti di interesse, si potrà pensare su come creare nuovi scenari, su come sperimentare e non arrendersi per amore del prossimo, su come non diventare dei ciechi tirapiedi di un ministro che dà ordini sbagliati.

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