Tra regolametazione e libertà, il dominio si fa dei radical chic

Simone D'Aurelio

(4 min. lettura)

Tra i tanti testi letti della mia biblioteca, c’è un’elemento che mi è saltato agli occhi in queste ultime settimane, è un libro di Danilo Quinto “Pensiero unico e false ideologie” (2017,Solfanelli), e mi ha colpito una sua particolare riflessione in mezzo a diversi articoli (devo dire davvero belli e interessanti). L’autore nel saggio infatti affronta alcuni temi importanti, ma partendo proprio dalla sua esperienza nei radicali, riesce a vedere molto in profondità alcune situazioni, tra cui quella della regolamentazione, (si veda da pag. 67 a 70) ovvero quella su cui batte da sempre l’ambiente radicale, regolarizzare la prostituzione, la droga, l’aborto, il gender (ecc. ecc.). Lo scrittore nota che si arriva sempre con lo stesso modo, prima di tutto si cerca di normalizzare un’elemento, ovvero di creare l’accettazione sociale di ciò che è un male in sè, e di renderlo accettabile, si prova fare in modo che da “male” passi a “non bene e non male”, fino a farlo diventare un fenomeno “socialmente plausibile” nel corso di decenni, tramite una classe intellettuale, tramite i social, e una serie di sofismi e di slogan importanti, o di casi limite. Da quì in poi si apre una strada, con la scusa etica di “regolare” ciò che “prima era male”, si propone di normalizzare un determinato elemento, di metterlo a norma di legge, si elencano i vantaggi e si fa apparire virtuoso tutto questo. Se non si riesce a rendere eticamente accettabile una determinata situazione sociale (ad esempio la prostituzione) si inserisce il discorso solamente di regolamentazione come decoroso e conveniente. Si ignora in entrambi i casi, un punto fondamentale, capito da grandi guerrieri nella fede, come Danilo Quinto, Mario Palmaro, e molti altri, che il male in sè per sè non può essere nè normalizzato nè regolamentato, il male per chi vive nella fede, è una condizione di disordine oggettiva, e non può essere accettato, non importa in quale forma esso viene “sponsorizzato”, esso rappresenta una condizione dannosa prima di tutto nel rapporto con Dio, e allo stesso tempo anche con se stessi a livello ontologico, il male nella religione come il bene, non è figlio dei tempi, non è figlio della maggioranza, o dei referendum. Se il male è relativo, o se il bene “è solo ciò che è meglio di” vuol dire che la realtà non porta con sè nessun bene e nessun male, e tutto può essere giustificato, in base alla situazione, ovvero esiste solo l’interpretazione e non il fatto, solo le battute e non gli attori. Dio nel mondo cristiano, non è mai stato un relativista, anzi, con il popolo ebreo spiega bene i suoi comandamenti, è un Dio che si pone come inizio e fine di tutto, come la base su cui ogni cosa dipende rispondendo chiaramente a Mosè nel Roveto “Io sono colui che sono”, la fonte dell’essere, l’assoluto, l’eterno. Il normalizzare ciò che è disordinato in sè è possibile ovunque non c’è Dio, Dostojevskij lo sapeva: “Se Dio non esiste tutto è permesso”, tutti i problemi vi sono se Dio non vi è. I cristiani, autentici sanno questo e sopratutto sono consapevoli che ciò che era di scandalo a Dio, lo era ieri, lo è oggi e lo sarà domani. La differenza è netta, tra i sofisti che vogliono “normalizzare” il male e il bene a livello ideologico e in base alla loro convenienza e chi guarda a una linea oggettiva, metafisica. Detto questo arriviamo alla seconda analisi di Danilo Quinto: il male legalizzato è pericoloso e controproducente,oltre che un’ingenuità. Se ciò che è disordinato in sè è legale, servirà solo, ingannare le coscienze, per molti uomini il legale è il solo confine dell’etica, ovvero ciò che bene è male nello stato viene deciso all’interno del perimetro etico dei codici del codice civile e penale, e non ci si rende conto che non abbiamo di fronte un fenomeno matematico, se la prostituzione, la droga diventano legali questo non equivale, a trasformare il male in bene, come ha riportato anche dallo scrittore, oltre a tutto ciò ci rifacciamo a una bella osservazione al riguardo: “A fare da chiosa a questo dibattito -che con ognli probabilità porterà il Parlamento italiano, tra breve a legalizzare le cosidette droghe leggere – le parole di un altro magistrato che nella sua vita fu sempre al sevizio della verità: <<Forse non si riflette che la legalizzazione del consumo di droga – disse Paolo Borsellino nel lontano 1989 – non elimina affatto il mercato clandestino. Resterebbe una residua fetta di mercato clandestino che diventerebbe estremamente più pericoloso, perché diretto a coloro che per ragioni di età non possono entrare nel mercato ufficiale, quindi alle categorie più deboli e più da proteggere. E verrebbe ad alimentare inoltre le droghe più micidiali, cioè quelle che non potrebbero essere vendute in farmacia non fosse altro perché i farmacisti a buon diritto si rifiuterebbero di vendere. Conseguentemente mi sembra che sia da dilettanti di criminologia pensare che liberalizzando il traffico di droga sparirebbe del tutto il traffico clandestino e si leverebbero queste unghia all’artiglio della mafia” (Danilo Quinto, Pensiero unico e false ideologie,Solfanelli, pag. 66, 2017) . Vogliamo parlare della legalizzazione prostituzione? Oltre ad alterare la percezione di bene e male, regolarizzare tutto questo non consente di continuare un mercato parallelo illegale e un traffico di esseri umani? Non ci potrebbe essere lo stesso il bisogno di un mercato in nero per chi non può accedere a quello ufficiale? Non troviamo ancora prostitute con voglia di non essere a norma? Anzichè colpire l’offerta forse dobbiamo capire il perchè della domanda e fare un lavoro al senso inverso se si vuole civilizzare il paese, lavoro molto più difficile rispetto all’emanazione di un decreto legge o di un dcpm targato Conte

Foto di EKATERINA BOLOVTSOVA da Pexels: https://www.pexels.com/it-it/foto/libri-biblioteca-interni-figurina-6077123/

Comments (2)

Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Prev Post Next Post