Come far ripartire l’etica, da dove ricominciare parte 2

Simone D'Aurelio

(4 min lettura)

Non si tratta di inventare un nuovo codice, si tratta di vedere a cosa è naturalmente collegato il nostro essere uomini, la nostra aspirazione morale. “Ora finalmente l’agire umano, o meglio la persona in atto, ci appare in tutta la sua drammaticità. Essa tende consapevolmente ad avere risposta completa e definitiva, a realizzare pienamente il suo desiderio. La volontà pienamente appagata [cfr. 1, 2, q. 5, a. 8] è ciò che l’etica chiama felicità. Poiché, come abbiamo visto, volontà è aspirazione guidata dal giudizio della ragione, la felicità non è semplicemente una condizione psicologica soggettiva, ma essa può e deve essere anche oggetto di una ricerca razionale, ed ha quindi senso parlare di felicità vera e di felicità falsa.”(http://www.caffarra.it/lezione080312.pdf). L’etica può ripartire tornando in prima persona perché come possiamo passare tutta la nostra vita con la sicurezza assoluta che non esiste bene, non esiste verità sugli uomini? Come convincere il nostro interlocutore che una nostra scelta è umana? “La storia ha dimostrato che il vero progresso morale è dovuto a chi ha cercato la verità circa il bene, e non la convenzione [Socrate, per esempio]. Senza verità circa il bene, l’uomo brancola nel buio; si ritrova nelle mani una libertà che è pura possibilità di tutte le possibilità [= disperazione]; è un uomo per cui bene/male sono flatus vocis: cioè un uomo amorale.” (ibidem) L’uomo che ha il coraggio di non chiudere gli occhi di fronte alla realtà può fornire funzioni etiche per il nostro tempo, ma può anche fornire una soluzione per migliorare la società. Il tornare all’etica in prima persona, comporta di conseguenza una società orientata che risponde alla ricerca della realizzazione dell’uomo, alla sua tensione metafisica, al suo bisogno di benessere, e al suo bisogno di felicità che passa per la collettività, in fondo la società è un organismo biologico, per quanto vogliamo essere felici nell’utilitarismo non sarà mai appagata l’intimità dell’uomo che aspira alla felicità collettiva. Questi decenni grigi di degradazione, di un popolo europeo benestante ma depresso, sono la testimonianza chiara e netta di come l’uomo non è felice nel boom economico, nell’ultraliberismo, o in una condizione etica soggettiva. La felicità dell’uomo è legata anche alla sua condizione ontologica, alla condizione del suo essere, alla risposta naturale delle sue inclinazioni e questo coinvolge in modo particolare il conoscere la natura umana, la sua razionalità, il suo intrinseco legame verso il bene, e verso l’essere, e quindi vi è un profondo collegamento con l’etica . Ciò su cui si basava lo splendore di civiltà passate era nell’individuazione di un preciso principio metafisico, circa il bene, la verità e il senso. L’appagamente e il benessere sono collegati a una nozione intrinseca di giustizia di verità e finalità, insieme a una vera concezione di bene e male. “Le basi teoretiche non semplicemente elaborate, ma sempre chiaramente e consapevolmente presupposte da cui muove la «denuncia» della dottrina sociale sono di natura squisitamente metafisica e possono essere ricondotte a queste tre principali: l’affermazione della trascendenza divina contro ogni forma di immanentismo storicistico e di ateismo materialistico; il riconoscimento di un ordine finalistico e morale che sorregge l’universo creato dagli enti e in particolare la vita dell’uomo; la stupenda dignità della persona umana che fa di ciascuno di noi un essere unico e irripetibile, autocosciente e libero, creatore di un proprio destino eterno di felicità o di infelicità. Sulla base di queste semplici griglie concettuali vengono poi pensate e dipanate le soluzioni ai problemi concreti della vita sociale, economica e politica dei singoli e delle istituzioni”. (Antonio Poppi, Filosofia in tempi di nichilismo, problemi di etica e metafisica, Edizioni Scientifiche Italiane, 2002, p. 193). Partendo da questi precetti si potrà contrastare in modo forte e fermo il buio, il collasso la depressione di questa società di stampo anti-metafisico, malthusiana, post marxista, che sul piano tecnico riesce a offrire tutto all’uomo ma sul piano pratico c’è una collisione con il suo essere, con il suo spirito, con la sua natura, al di là dei comfort e del benessere consumistico offerto attualmente. La scalata metafisica è dura ma è quella che ha già dato storicamente (e darà sempre) risposte vere all’uomo, quella che gli darà una direzione non lasciandolo in balia del tempo e delle circostanze, ciò che appagherà il suo cuore, questo significa non solo un trionfo etico, per il singolo e per la società ma anche un trionfo filosofico, dei corpi delle menti che usciranno dall’esistenzialismo esasperato, per ritrovare la vera felicità, i veri principi del nostro essere uomini, e i veri principi della filosofia: “occorre, dunque , uno scatto ulteriore dell’intelligenza che dalla scienza dei fenomeni la sollevi alla sapienza, cioè alla scoperta delle cause o dei principi primi: non basta sorprendere alcune leggi operative dei fenomeni naturali, bensì sorprendersi del fatto stesso che quel dato fenomeno sia piuttosto che non sia, e dell’essere nella sua totalità, e non solo movendo da acritiche date scontatamente come vere, bensì puntando a un sapere che aggirando tutte le ipotesi possibili si ponga come interamente anipotetico. E’ questo appunto il compito della filosofia, o come la denomina Platone, la dialettica; si tratta di quella «seconda navigazione» di cui Socrate aveva dimostrato la necessità nel Fedone, parlando con Cebete dell’inutilità della sua prima iniziazione con i filosofi ionici, che prigionieri dei sensi non sapevano rifugiarsi nei logoi, nelle dimostrazioni concettuali scientifiche ultime della ragione umana intorno alla realtà dell’esperienza”(Antonio Poppi, Filosofia in tempi di nichilismo, problemi di etica e metafisica, Edizioni Scientifiche Italiane, 2002, p. 112).

Foto di Sami Aksu da Pexels

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