Aborto e diritto alla vita pt.2

Simone D'Aurelio

(5 min. lettura)

(Discorso tenuto da Manuel Berardinucci il 5/11/2022 presso le parrocchie di Martinsicuro S. Cuore di Gesù e Madre Teresa di Calcutta)

Tant’è che, infatti, questa presunta marcia inarrestabile, da qualche parte s’è arrestata. Pensiamo agli Stati Uniti d’America, dove grazie ad una Corte Suprema, la cui sensibilità prolife è dovuta all’acume politico di Donald Trump nella nomina di alcuni giudici, ha eliminato l’aborto procurato dal computo dei diritti costituzionalmente garantiti, lasciando agli Stati a guida repubblicana la possibilità di restringere la liceità dell’omicidio prenatale. Uno degli esempi più virtuosi è il Texas, ove è tornata in vigore la normativa del 1925 che punisce la pratica abortiva col pagamento di una sanzione pecuniaria di 10.000 dollari o col  carcere. E su questo, dobbiamo essere onesti con noi stessi come cattolici, certe sette protestanti d’Oltreoceano, sono state molto più brave della Chiesa Cattolica modernista e del laicato, nel fare rete contro l’aborto e altre sinistre derive liberalprogressiste.

 

Ma anche in Europa, abbiamo qualche esempio virtuoso sebbene non perfetto, come quello  della Polonia, dove l’aborto, dal 2020,  è legale solo in caso di pericolo di morte per la donna o, e questo è il neo, in caso di una gravidanza che sia frutto di stupro. Lo stupro è uno di quegli argomenti usati a sproposito dai fautori del diritto ad uccidere un bambino nel grembo materno e che, tuttavia, rischia di fare presa presso alcune persone di buon senso, impietosite dall’immagine evocativa di una donna vittima di un barbaro aguzzino. E’ chiaro che la fattispecie sia delicata e con altrettanta delicatezza meriti di essere trattata. Tuttavia ci sono alcuni punti che necessitano di essere articolati. In primo luogo: perché il bambino dovrebbe pagare, addirittura con la vita, le colpe del mostruoso padre? E’ di tutta evidenza che sia comprensibile la difficoltà della donna nel portare avanti una gravidanza conseguente ad un trauma tanto inaccettabile, ed è per questo che è necessario affiancarla spiritualmente, psicologicamente, economicamente, ma mai, nulla, potrebbe giustificare l’omicidio di una vita innocente. Se specifico vita innocente vi è un motivo preciso. E’ necessario rendersi conto che viviamo in una società ove l’illogicità la fa da padrona, in cui ci si sbraccia per garantire il diritto ad uccidere il figlio di uno stupratore, ma allo stesso tempo si garantisce perentoriamente il diritto dello stupratore, vero colpevole, a non essere ucciso. L’aborto contro un innocente deve essere garantito, mentre la pena di morte contro un criminale no. E per questo, anche quì, noi cattolici dovremmo fare un po’ di mea culpa.  Il pontificato di Giovanni Paolo II, che ha condotto una santa battaglia campale contro l’aborto, ha rischiato tuttavia di trasmettere una visione di difesa della vita, romantica e sentimentalistica. Una visione che non appartiene alla Dottrina di sempre della Chiesa Cattolica, la quale ha sempre certamente difeso il diritto alla vita dell’innocente, ma ha altresì sempre confermato la liceità e talvolta la necessità della pena di morte. Lo spiega bene Sant’Agostino del De Civitate Dei: ” La stessa autorità divina che ha detto: <<Tu non ucciderai>>, ha stabilito certe eccezioni al divieto di uccidere l’uomo. Dio ha ordinato allora, sia con la legge generale sia per precetto privato e temporaneo, che si applichi la pena di morte. Ora, questi il cui ministero gli è dato dall’autorità, non è veramente omicida, ma è solo uno strumento, come la spada con cui egli colpisce. Quindi, coloro che su ordine di Dio hanno fatto la guerra o coloro che hanno punito dei criminali nell’esercizio del potere pubblico, conformemente alle leggi divine, e cioè conformemente alla decisione della più giusta delle ragioni, costoro non hanno per niente violato il <<Tu non ucciderai>>”.  San Tommaso d’Aquino, ripreso poi dal catechismo di San Pio X, paragona l’uccisione di un criminale all’amputazione di un arto corporeo malato. Nel secondo caso il fine è quello di salvaguardare la salute del corpo nel suo complesso, nel primo è il mantenimento della pace sociale. Sebbene possa apparire ingiusto porre sul medesimo piano un inanimato arto con una completa Creatura di Dio, San Tommaso ci spiega che nel momento in cui l’uomo pecca gravemente contro il Signore e l’Ordine Naturale, decade dallo stato di dignità umana che gli garantiva l’intangibilità dei propri diritti naturali. Il Venerabile Pio XII si espresse sulla stessa linea: Anche quando si tratta dell’esecuzione di un condannato a morte, lo Stato non dispone del diritto dell’individuo alla vita. In questo caso è riservato al potere pubblico privare il condannato del bene della vita in espiazione della sua colpa, dato che col suo crimine si è spossessato egli stesso del suo diritto alla vita.”

Perdonerete la digressione ma è fondamentale fare chiarezza su questo punto per non cadere in facili tranelli retorici e in banalizzazioni della buona battaglia che ognuno di noi è chiamato a combattere.

Acclarato che l’aborto è un omicidio e che come tale debba essere vietato sempre e che dunque l’iniqua legge 194 dovrebbe essere abolita, e non, come sostiene qualche cuckservatore nostrano, usata con finalità prolife, perché come ci insegna il catechismo, non è lecito usare mezzi malvagi per  raggiungere fini buoni, dobbiamo prendere altresì atto che la battaglia giuridico-normativa non è sufficiente. Se pure un partito che volesse abolire la legge 194 prendesse il 51% dei voti e riuscisse a criminalizzare l’omicidio prenatale, non avremmo comunque vinto.  Certo, sarebbe gran cosa e milioni di vite sarebbero salvate, ma al turno elettorale successivo, una maggioranza progressista potrebbe rivincere e spazzare via in un soffio il lavoro realizzato. E’ questo il male intrinseco alla democrazia liberale: anche quando dovesse riuscire ad emergere la Verità, la sua vittoria sarebbe temporanea, effimera e legata all’arbitrio di uomini che votano in un senso o nell’altro. E’ per questo necessario lottare globalmente, per la Restaurazione della Civiltà Cattolica che, come ci insegna San Pio X, è l’unica civiltà possibile, la quale poi può pure declinarsi in una democrazia, ma in una democrazia cattolica.  Prima di procedere ad individuare le caratteristiche di una democrazia compiutamente ed integralmente cattolica, è opportuno procedere ad una eliminazione di tutti i possibili equivoci. Innanzitutto una democrazia cattolica non è affatto una democrazia fondata sul popolarismo, il quale anziché convertire al cattolicesimo la politica, ha inverato una invereconda secolarizzazione del cattolicesimo politico. Pensiamo al caso italiano, in cui il popolarismo si è incarnato nella Democrazia Cristiana, la quale pur di rifuggire una qualunque intesa con le formazioni collocate alla sua destra, ha ricercato, accettato e stipulato alleanze, accordi, compromessi con i liberali, i laici, i socialdemocratici, i socialisti e finanche i comunisti in nome del consenso elettorale di cui questi godevano, affermando il primato della sovranità popolare su quello della lotta all’errore e della non cooperazione col male. Una Democrazia Cristiana che, in nome del positivismo giuridico, si è resa firmataria, con i suoi ministri e presidenti, di inique leggi che in fase referendaria aveva contrastato, come appunto la legalizzazione dell’omicidio nel ventre materno o del divorzio.

Foto di Janko Ferlic da Pexels: https://www.pexels.com/it-it/foto/gestante-590496/

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