La vittoria di Pirro del mainstream

Simone D'Aurelio

(3 min. lettura)

Se possiamo guardare il mainstream esso ci dice una cosa a chiare lettere: deve essere tutto disponibile. Il mondo di oggi nella sua filosofia e soprattutto nella sua cultura fa percepire come “progresso” l’andare avanti verso la disponibilità assoluta: più ogni cosa è a mercato, più ogni status e ogni relazione è disponibile, più rientriamo nell’ambito della civilizzazione, più siamo aperti a tutto e più siamo avanti rispetto ai nostri padri. Un figlio deve essere disponibile e sul mercato, e programmabile, il corpo deve essere disponibile, una relazione deve diventarlo, la vita e la morte devono essere di libera scelta, la nostra etica e i nostri principi devono essere disponibili ad adattarsi a tutto. Gli slogan del mondo neoliberale gridano a tutto ciò e una volta che sono stati raggiunti gli obiettivi, dall’aborto al divorzio, dall’eutanasia al gender, dal figlio surrogato alla totale libertà sessuale, si arriva a nuove ulteriori richieste nel motto di liberi tutti nel tutto e per tutto. In pochi notano che in questo caso, nella disponibilità, tutto perde senso, tutto perde valore, tutto si annichilisce, tutto non appaga, tutto è inutile, in un Occidente più depresso di prima e sempre più in cura dallo psicologo. La filosofia cristiana e la cultura cristiana vanno in senso opposto, e hanno fondato la società sulla base dell’indisponibilità, la prima è quella di Dio, esso oltre a essere dimostrabile, rappresenta razionalmente l’indisponibile per eccellenza, anzi è una condizione logica e ontologica di Dio, la cui indisponibilità dà via alle altre, l’indisponibilità prima e assoluta. Ma il valore dell’Europa e della società era stato fondato anche da questi principali aspetti, il matrimonio era un vincolo di indisponibilità umana di fronte a Dio e alla società che custodiva la coppia in prospettiva, il corpo era indisponibile a darsi a tutto e a tutti e acquista un suo valore, non è una macchina consumistica, così la vita insieme al corpo alla famiglia sono fuori dalla disponibilità e acquistano senso e ragion d’essere relazionandosi di fronte a Dio e agli uomini. Se ci pensiamo l’indisponibilità, parziale o totale, ci contraddistingue, la nostra amicizia non è disponibile a tutto altrimenti non è amicizia, la mia stima verso una persona non può essere uguale e disponibile a tutti, altrimenti non è stima, l’assoluta disponibilità dei corpi, della vita, e di ogni cosa, priva tutto di senso e di prospettiva. La cultura di oggi predica la bellezza del poter essere tutto in tutto e per tutto, vivendo nel relativismo assoluto l’attimo, diventando slegati e disponibili a qualunque cosa senza senso e senza prospettive, manipolabili perché senza valori, senza principi, senza identità, uomini senza una prospettiva del loro essere, senza uno sguardo né sul passato né sul futuro, che si auto-fondano su se stessi, e in se stessi, senza metro, senza unità di misura, dato che ci troviamo in uno sproloquio solipsista. Nessuno vede che questo significa vivere nella massima fragilità possibile, basterà in una visione del genere poter imporre qualsiasi slogan per fare qualunque cosa, dall’abolizione della proprietà privata, all’ecologismo sfrenato, alle più sfrenate emergenze di ogni tipo (che si susseguono da circa 23 anni). Quella vittoria nel rendere tutto fluido tutto disponibile, tutto accettabile, priverà di senso ogni cosa, togliendo i contorni e i tratti caratteristici di ogni elemento della nostra vita per aprire al liberismo assoluto decantato dai media ci ritroveremo nel mezzo di una vittoria di Pirro.

Foto di Ethan Wilkinson da Pexels

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