L’ideologia woke arriva in Italia

Simone D'Aurelio

(5 min. lettura)

Sentiremo sempre più parlare dell’ideologia woke. Il termine sembra del tutto sconosciuto, o ai più può far pensare al tegame diffuso anche nel nostro continente, invece parliamo di una “filosofia” (se così si può dire), e di un presunto “movimento culturale” che è totalmente fluido, incontestabile e non falsificabile. Le caratteristiche di questo pensiero sono che in un modo o nell’altro si finisce per dare ragione al militante woke, le cui lotte non riguardano determinati obiettivi prioritari per la società,e non portano con se neanche dei veri e propri principi, nel woke inoltre non c’è una vera lotta distinta, ma c’è piuttosto uno scagliarsi verso determinate categorie, partendo da delle petizioni di principio. Tutta la struttura movimento culturale in se per se, a essere onesti rimane lontana anni luce da qualsiasi ragionamento che può essere provato sul campo, sia a livello filosofico che a livello pratico.

Per capire tutto questo, è interessante lo studio di Pierre Valentine al riguardo,che riesce ad analizzare in modo razionale la situazione di questa pseudo cultura e dei suoi militanti, prima di tutto lo stesso nome non è assegnato dagli avversari del movimento, ma è autoreferenziale, non si tratta dei disprezzati “no vax” o degli odiati “filoputin”, perchè un giudizio esterno e onesto probabilmente chiamava questo movimento “l’ideologia del vittimismo”, invece no il nome viene dai loro stessi combattenti (1). Come tutti i movimenti che partono da un’assioma postmoderno, c’è alla base un relativismo per lo più assoluto <<uno scetticismo radicale quanto alla possibilità di ottenere una conoscenza o una verità oggettiva>>. (2) Insomma, si denuncia l’assoluto nichilismo conoscitivo, si annulla il campo dell’esperienza, del reale, della logica e del sapere, ad esclusione di ciò che lo stesso sistema woke predica, ovvero la certezza assoluta di determinate discriminazioni, l’assoluta idea di base che determinati episodi avvengono sempre ed a priori, che un determinato modello è intrinsecamente sbagliato, anzi che lo sono tutti ad esclusione del loro, e che la società è formata da un sistema che decide cosa si può sapere e cosa no (3).

La filosofia woke, parte da un problema di concezione dell’egalitè, e dal problema intrinseco di relazionarsi con tutto ciò che è <<altro>> in senso metafisico, reale, qualitativo e quantitativo. Ma ciò che è ancora più evidente è che la cultura woke non mira a identificare ed a dimostrare se c’è una determinata situazione nel reale ma al contrario il militante woke parte già dal pressupposto, dalla presa di posizione che il problema è già presente e all’interno delle situazioni. Se prendiamo ad esempio il razzismo, per il militante woke, vi è il razzismo a priori in quel determinato contesto, e va solo visto come si manifesta (4) non bisogna investigare sulla sua reale o presunta esistenza. Inoltre il loro rifiuto di qualsiasi norma scientifica, filosofica, morale genera un nuovo paradigma, che rende il movimento assolutamente non falsificabile sotto ogni aspetto. Per capire a dove possono arrivare i loro ragionamenti si guardi le loro battaglie sui fat studies, che in sostanza vedono la necessità di curare o di aiutare gli uomini affetti da obesità morbosa come una costruzione sociale al servizio dei dominanti (5).

“Per sua stessa ammissione, il pensiero woke maneggia dei concetti per gli effetti che essi produrranno piuttosto che la loro pertinenza in sè. In altri termini raramente difende dei principi: sostiene piuttosto dei metodi. (6)” Pierre Valentine individua il problema principale di questa struttura, non c’è in realtà nulla a cui si aderisce, non c’è un fine, non c’è un’identità, non c’è un valore, c’è piuttosto il focalizzarsi solo su possibili effetti, escluse le cause, esclusi i contesti, escluso il ragionamento si può arrivare a qualsiasi contraddizione in nome della lotta a un determinato effetto. La militanza woke da parte dei sofisti più navigati può essere fatta passare come una difesa eroica di principi, e di umanità, ma in fondo si tratta solo di interessarsi a determinate categorie, non abbiamo una difesa woke (per quanto minima) sull’eterosessualità ad esempio in regioni o comunità dove essa rappresenta (o può rappresentare) una minoranza, non vi è una difesa in un contesto simile, di un bianco, o di una minoranza cattolica dove queste realtà rappresentano una piccola nicchia perseguitata in modo storico e documentato sia a livello civile che a livello politico. E dov’è l’urlo woke di fronte ai non vaccinati in questi due anni esclusi e discriminati dal lavoro, nei ristoranti, nei comuni, e in ogni posto pubblico e privato? Si guarda solo a ciò che fa comodo, e ci si focalizza sui presunti effetti che si desiderano far uscire fuori, scollegandoli dal contesto dall’interazione, dal quadro storico, sociologico, da qualsiasi principio di non contraddizione.

La militanza woke può anche inventare storie che non esistono, si veda lo studente Perkins (7), che crea un’enorme caso del tutto falso di violenza razziale da parte della polizia, che è “giustificato” dai woke per aver attirato attenzione sul tema dei problemi polizieschi, ma a questo punto i poliziotti accusati in modo ingiusto non sono contati come vittime? Oltre a tutto ciò vogliamo considerare i danni del procurato allarme o della possibilità di innescare infinite dichiarazioni false su questa scia? Se gli effetti vanno analizzati non ci si può fermare a quelli che ci piacciono a livello probabilistico, e scartare a priori tutte le altre possibili conseguenze. Ma oltre a ciò la situazione rasenta l’assurdo, perchè la filosofia woke, arriva a nascondersi anche dietro le cosiddette microagressioni, con questa parola i militanti molti scaltri hanno la possibilità di far passare qualsiasi discorso come un’aggressione psicologica, conscia o inconscia che compie un soggetto verso un’altro soggetto. Rientrando all’interno di comportamenti involontari, si apre all’infinita offesa, e al vittimismo perenne, “dire ad esempio <<all lives matter>> o fare i complimenti a una donna per le sue scarpe sono già stati inscritti in questa lista”[NDR lista delle microagressioni] (8). Ma cosa dire della conversazione privata su Whatsapp che conteneva battute razziste che causa l’espulsione di cinque studenti dall’università e che porta addirittura anche le investigazioni della polizia all’interno dell’ateneo? (9). Reazioni colossali che costano la carriera universitaria, bugie, microagressioni mascherati nei complimenti, oltre a tutto questo abbiamo una dichiarazione delle più grandi esponenti dell’ideologia del mondo Woke che afferma tranquillamente che non bisogna più porsi la domanda se c’è stato del razzismo, ma piuttosto chiedersi direttamente “come si è manifestato”? (10). Nel woke c’è la certezza assoluta che il razzismo vi è più o meno ovunque, e va solo capito come si è manifesta. Petizioni di principio, minoranze difese a scelta, ed effetti di comodo a volte percepibili solo dagli stessi militanti, come si può contraddire questo sistema circolare e completamente autoreferenziale?

Foto di Alfo Medeiros da Pexels: https://www.pexels.com/it-it/foto/donne-folla-protesta-cartellone-12151273/

Documento di riferimento

https://www.fondapol.org/app/uploads/2022/04/fondapol-lideologia-woke-1-anatomia-del-wokismo-pierre-valentin-04-2022-1.pdf

(1) Pag 10 del pdf

(2) e (3) Pag 11 del pdf

(4) Pag 14 del pdf

(5) Pag 17 del pdf

(6) Pag 19 del pdf

(7) Pag 22 del pdf

(8) (9) Pag 23-24 del pdf

(10) Pag 35 del pdf

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