La necessità di Dio nello stato

Simone D'Aurelio

(4 min. lettura)

Ciò di cui hanno bisogno gli stati è indipendenza e sovranità e questi sono aspetti più chiari che mai ai nostri occhi, ma oltre a tutto questo sorge un’altra domanda che influisce in modo decisivo sulle istituzioni, sui singoli, e sulla collettività, ovvero il problema di Dio. Oggi infatti, l’Europa sembra totalmente atea, e le questioni religiose seppur accettate in via formale vengono rimandate alla sfera privata e tutto finisce per creare un pensiero debole collettivo, dato che nel pubblico e nelle istituzioni il discorso religioso/metafisico sembra sparire totalmente. Eppure come intuito da Bultmann si possono avere stati che non sono cristiani, ma non possiamo avere degli stati atei. Ma cerchiamo di capire il perchè di questa necessità.

La collettività si relaziona da sempre con il sacro, con la teologia, le grandi tradizioni hanno edificato le loro società, partendo dalla concezione di Dio, e la risposta a questa domanda rimane decisiva per il destino di ogni popolo sotto ogni aspetto. Riprendendo la situazione attuale, per fare un’esempio, vediamo oggi più che mai, lo smarrimento europeo di natura politica, identitaria e culturale che in fondo è dovuto proprio al rigetto più totale verso Dio, abbiamo a che fare infatti sempre di più con un’Europa benestante ma depressa, sempre più avanzata tecnologicamente ma molto chiusa e diffidente, sempre più specializzata a livello accademico ma anche molto disorientata nella vita. Un’Europa immersa nell’utilità ma fredda, produttiva ma non in grado di rispondere a domande di senso, sempre più grande nella sua estensione ma sempre più distrutta da un pensiero nichilista.

Il problema teologico proprio oggi, è un problema concreto, perchè il problema di Dio, in fondo è un problema tout court per l’uomo, e per la collettività, e quindi per la politica e per l’instaurazione di una società: la visione antropologica, la concezione etica, la giurisprudenza, il diritto, l’agire, le finalità, la concezione economica e temporale sono influenzati in modo decisivo dalle scelte teologiche e metafisiche effettuate da ogni popolo.

Non possiamo stupirci se l’Europa è immersa nel fare ma ha perso l’agire, se è arrivata a sfiorare sogni transumani ma ha perso di vista i diritti fondamentali, se è concretamente immersa nelle ricchezze ma non riesce lo stesso ad essere felice e a realizzarsi nel proprio intimo. Questo è il riflesso di una politica, di una cultura, e di una collettività che è contro qualsiasi discorso teologico, anzi vi è al suo interno la sola teologia e la sola metafisica che divinizza il mondo con risultati da sempre fallimentari.

I popoli agganciati alle grandi tradizioni, con il loro impianto metafisico e teologico, con le loro storie secolari, millenarie, e plurimillenarie, erano in grado di dare risposte tecniche, (nei limiti del possibile) ed erano anche in grado di rispondere alle domande di senso, di finalità, che riguardano l’uomo, e che sopratutto regolano i meccanismi intrinsechi della nostra collettività, tramite queste risposte si costruiscono quelle colonne fondamentali che coinvolgono la nostra vita pratica, e la nostra realizzazione.

Partiamo dall’antropologia ad esempio: i cristiani vedono nel volto dell’altro il loro prossimo a cui dare amore e attenzione, sono chiamati a questo, il cristiano ha dato vita al concetto di persona perchè essa è concepita come un’essere unico e irripetibile, e la sua vita è indisponibile, il concetto di sacralità della vita è possibile proprio in concezioni antropologiche che danno importanza all’uomo e lo inquadrano in una relazione verticale con Dio, per l’Europa di oggi, invece che è sempre più atea il discorso è profondamente diverso, l’uomo può essere visto in due modo: o come il sottoprodotto di un’animale oppure può essere concepito come un individuo da trasumanizzare provando a sfidare quei limiti ontologici mai superati. Ci ritroviamo dei dualismi e degli eccessi che non riescono a rispondere, in modo razionale al mistero dell’uomo. In tutto questo , anche la concezione della razionalità dell’Europa di oggi, è del tutto fuorviante, dall’esaltazione esasperata del razionalismo allo scientismo, ci ritroviamo di fronte a due eccessi di natura inversa che da un lato pensano che la ragione può tutto e che la conoscenza passa solo ed esclusivamente tramite un organo, escludendo lo spirito e lo status d’essere del soggetto conoscente, mentre dall’altro lato invece si svaluta totalmente la razionalità rendendola un solo strumento subordinato al calcolo e al metodo. Ma c’è da guardare anche l’ambiente: il suo rinnovo è possibile in un’ottica dove Dio c’è, e vi è una classe dirigente che impugna un chiaro assioma, in un impianto metafisico che denuncia che Dio è altro dal mondo, in questo caso l’ambiente può essere concepito correttamente, e seguendo questa linea di pensiero può essere salvato anche l’uomo stesso, l’etica, e in ultima istanza la teologia. Se invece il mondo è tutto, e si enuncia un’ateismo pratico e implicito, allora a questo punto, o si tende a divinizzare il creato opponendoci di fronte a qualunque possibilità di farlo maturare, e si arriva a pensare di combattere qualsiasi azione dell’uomo all’interno del pianeta concependo quest’ultimo come un virus, oppure vediamo dall’altro lato l’ambiente concepito in termini colonialistici: così come l’uomo diventa in termini neomaltusiani una semplice risorsa da sfruttare, così l’ambiente diventa un nuovo schiavo da colonizzare e da cui ottenere ricchezze senza curarci del domani, entrambe le interpretazioni aprono a eccessi.

(link parte 2)

Foto di Lara Jameson: https://www.pexels.com/it-it/foto/notebook-penna-viaggio-cartina-geografica-8828439/

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