Il rapporto con la morte nella storia

Simone D'Aurelio

(5 min. lettura)

Sembra strano, difficile, e anche imbarazzante parlare della morte, la nostra società a dispetto delle comunità tradizionali infatti prende le distanze dall’argomento. I filosofi non nè parlano, i letterati la snobbano, i vip la glissano con un pò di sofismi. Tutti sembrano aver rimandato il discorso della morte in sordina, eppure questo è un segnale evidente, della ragione debole di questa società contemporanea (a cui è collegato l’attuale l’agnosticismo, l’ultrarelativismo ecc ecc). Come nota Sabino Acquaviva in un suo saggio (1) , il rapporto con la morte, diventa fondamentale per le comunità, sia il progresso artistico (piramidi, templi, ecc.) che civile (stratificazione della società) ed è collegato anche il nostro agire, la stessa coscienza del popolo e le identità vengono scolpite in base alle prospettive che ci sono sulla morte e su cosa c’è dopo. C’è da comprendere che il concetto della morte (come tutto il resto), è legato in modo indissolubile, al mondo teologico, al mondo metafisico, e al mondo filosofico, e crea società differenti in base alle nostre scelte. Se il mondo finisce qui e viviamo l’ateismo “puro” (ed a questo punto non si capisce come mai la natura arriva a creare la morte dopo il miracolo della vita) allora il rapporto con la morte è il rapporto con la fine ultima, l’unica cosa che conta finchè siamo vivi è solo rinviare il tragico evento, si vive per non morire, si pensa a sopravvivere, ed a godere hic et nunc di ogni gioia possibile. Ma allo stesso tempo se è davvero così e non c’è un “dopo” la morte, è inutile parlare di etica, è inutile guardare oltre di essa, ci si deve concentrare sulle lotte Malthusiane come fanno già moltissimi massoni e dirigenti del WEF, perchè in fondo il mondo diventa la prima e l’unica realtà, dove il più potente vince, ove non possiamo giungere mai a delle conclusioni, perchè si perdono necessariamente nella contingenza storica, biologica e culturale. Se Dio c’è sotto il sole invece allora il discorso è un altro, nasce in questo caso la necessità di affrontare degnamente la morte, si può parlare di un giudizio, si può parlare di bene e di male seppur non abbiamo la visione totale su queste due entità, si può capire il mondo, e viene legittimata l’eterna nozione metafisica che distingue l’essere necessario (Dio), dall’essere contingente (l’uomo, l’universo, ecc. ecc.). Nell’universo ciò che è segnato dal nascere, deve anche morire, che sia un animale, un impero, un potente, o l’ultimo degli uomini, poco importa, tutto è destinato a scomparire. Parmenide, seppur padre del materialismo, aveva ben capito che c’era bisogno di un’Essere senza tempo,proprio il rapporto con la morte ed i mutamenti lo portano a fare delle analisi metafisiche, e la sua analisi da millenni è rimasta intatta: ciò che è nato, ciò che è in degradazione, ciò che è in evoluzione, ha bisogno di altro per giustificare sè, e l’universo che ha la sua storia ci denuncia ad ogni istante la sua non necessità. Il non necessario deve guardare la morte, ma bisogna capire come guardarla, l’ateo in fondo, non vede nessun rimando in essa, di fronte alla morte, può disperarsi, può sorridere, può essere tiepido, ma nella sua prospettiva sappiamo che quest’ultima vincerà su tutto e che distruggerà ogni cosa, qualunque grandezza, qualunque felicità, qualunque ricerca di stabilità sarà distrutta, perchè in questo caso ogni obiettivo, ogni azione, ogni parola sarà vanità, infatti:

per l’ateo è tutto vano, perchè qualunque cosa per lui è sotto la legge della caducità.

Fare il bene o il male in fin dei conti cambia poco, perchè in questa prospettiva materialista non c’è essere e cosa che si salva dal totale annullamento. I grandi popoli nella storia delle religioni che non vivono questa situazione di postmodernismo, e di nichilismo invece non hanno avuto un rapporto ambiguo con la morte, non la snobbano, vergognarsi della morte, significa vergognarsi della vita, non essere preparati ad essa, significa anche non aver preparato le proprie azioni in questo mondo, sono aspetti collegati. Gli uomini di fede in fondo affrontano la morte a testa alta, e non devono sacrificare ogni dignità e ogni cosa per non morire, la loro vita ha un valore proprio perchè la morte non è tutto,e la realtà materiale non è l’unica verità. Sopratutto nella comunità tradizionali, non ci sono uomini vinti dalla vita, dai vizi, dalla bramosia di potere, di dominio, proprio perchè riconoscono nella morte il passaggio, e non la fine.

La ricerca dell’eterna stabilità da parte dell’uomo racchiusa da sempre nell’inquietudine radicale, può essere saziata solo se si può andare oltre la morte, solo se essa è un semplice passaggio e non il tutto.

L’impostazione metafisica totalmente diversa dà vita a tutta una serie di azioni e di mentalità differenti. Sotto il sole non può esserci la perfetta giustizia, la perfetta comunione con chi ci ha lasciato, con chi è profondamente diverso, sotto il sole non c’è mai stata l’eterna felicità, bensì la fugacità dell’attimo,la precarietà dei sentimenti, l’incertezza del risultato, l’imperfezione della nostra realizzazione ed il perpetuo divenire. Solo l’eterno può rispondere in maniera definitiva al temporaneo, solo l’Essere può giustificare la presenza del divenire e anche salvarlo,solo Dio può rispondere in ultima battuta alla ricerca di stabilità dell’uomo. Solo Dio può rispondere alla contingenza dell’universo che è evidente al netto dei risultati scientifici di ordine fisico, chimico, biologico, cosmologico ecc. ecc. E in tutto ciò la domanda sulla morte mette sotto scacco tutti.

Un’altra realtà evidente, riguardo la morte, è quella scritta da migliaia di anni di storia delle religioni, che vede un legame tra corpo e spirito, ma anche tra l’esalare l’ultimo respiro e il giudizio dell’uomo oltre questo passaggio terreno. La percezione del bene e del male, è tipico di una società tradizionale così come l’individuazione di un collegamento tra i vivi e i morti. La dignità della sepoltura, dei riti funebri, dell’onorare la memoria, fa parte dell’uomo che non vede il nulla assoluto come vincitore bensì intravede o percepisce altro. Che sia l’Ade, Caronte,Mafuike, Naunet,Februus, poco importa, i popoli nella storia hanno sviluppato un certo rapporto con la morte e con ciò che c’è dopo di essa, e le presunte divinità. Solo la nozione filosofica e cosmologica postmoderna, rompe qualsiasi collegamento con ogni cosa, rendendo superfluo il corpo, così come l’etica, il nascere e il morire. Tutto viene vissuto in modo slegato e totalmente frammentato solo oggi.

E’ da notare come la nozione ultima di felicità, di verità e di comunione, nonchè di stabilità sono possibili solo se c’è un’oltre dopo la vita, solo in questo caso io posso davvero vivere con i miei antenati, con i miei cari, e trovare una felicità che esce fuori dal tempo e dal condizionamento. Solo sè la morte non è il tutto, possiamo salvare per davvero presente passato e futuro.

(1) “L’eclissi del sacro nella civiltà industriale”, 1981, Edizioni di Comunità, Sabino Acquaviva, pag. 144-145 “Questo fondarsi sul Re-Dio, sull’oltretomba, e su un clero onnipotente, diede alla civiltà egizia un’indiscussa stabilità: fino a quando Iside, Oriside, il Nilo, resistettero con la relativa struttura economica, sociale e religiosa, l’Egitto non potè tramontare. […] Anche il popolo ebraico si potè conservare nei millenni come entità etnica, sociale ed economica, proprio grazie al suo monoteismo ed ai principi della sua religione. Così la Grecia antica, fondata sulla religione olimpica, veicolo di una stretta comunità fra le città.”

Foto di Ksenia Chernaya: https://www.pexels.com/it-it/foto/paesaggio-memoria-pietra-simbolo-8986947/

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