In Chiesa c’è un problema di comprensione delle formule di giudizio

Simone D'Aurelio

(4 min. lettura)

Nella Chiesa, ad oggi, appena qualcuno prova a dire qualcosa viene subito zittito con “non giudicare e non sarai giudicato”, si ricaccia subito la frase del Vangelo senza capire bene il significato della frase. Infatti se queste parole vengono prese soltanto alla lettera c’è l’apertura al relativismo assoluto, ed è quello che accade spesso. In pochi comprendono bene che “non giudicare e non sarai giudicato” riguarda l’atto ma esclude la persona. Infatti noi non siamo Dio, non abbiamo facoltà di giudicare in modo oggettivo una persona, non la conosceremo mai abbastanza, non avremmo mai sufficienti elementi per giudicarla nella sua totalità. Possiamo ricavarne in larga parte delle linee, ma non potremo mai rinchiudere tutto il suo essere nel nostro giudizio, cosa davvero impossibile. Ciò che invece ci è possibile e su cui si basa anche la legislazione è l’atto, infatti noi non andiamo in tribunale perché siamo dei “pirla” o “cattivi”, andiamo in tribunale per degli atti che compiamo, furti, rapine, omicidi, imbrogli, minacce, ciò che l’uomo può giudicare di un altro uomo è l’atto. Quest’ultimo però può essere individuato chiaramente, nonostante porti con sé una parte soggettiva, delle variabili, l’atto è un’espressione fortemente oggettiva e scolpisce l’uomo. Anche Gesù nel Vangelo giudica gli atti, non le persone, i farisei vengono rimproverati sui loro atti (si veda ad. es. Matteo 23-1,39) ma anche guardando il brano dell’adultera è un chiaro esempio che Gesù non giudica la persona, ma l’atto: “va e non peccare più” (Giovanni 8-11). Quello che fa Cristo è una distinzione sana tra atto e persona, lui durante la sua missione temporale, non si è speso nel giudicare i singoli, piuttosto nel guardare gli atti. Se ci dimentichiamo di questo si arriva al Gesù politicamente corretto, se il giudizio non riguarda i comportamenti e gli atti tutti i tribunali possono chiudere e gli avvocati e i giudici andare a spasso. Che nel giudizio dell’atto sia coinvolta anche una parte soggettiva è anche vero, ma esso porta allo stesso tempo una parte oggettiva, individuabile e necessaria, una società che non giudica nessun atto è una società basata sull’anarchia. La Chiesa allo stesso modo distingue gli atti dalle persone, il peccato dal peccatore, non c’è odio verso la persona, bensì verso il peccato, per la persona c’è sempre amore, c’è sempre speranza. Ma non può esistere una religione dell’amore assoluto, dove va bene tutto e qualunque cosa. Con la parola di Dio, con la tradizione, con il Magistero, sappiamo come ci stiamo comportando perché possiamo confrontare i nostri atti di fronte alla vera Legge senza tempo. In questo caso la Chiesa può guidare gli uomini e esprimersi sulle loro azioni, le Sacre scritture sono per ogni epoca e ogni tempo; Dio infatti ontologicamente non può essere relativo, o cambiare atteggiamento, o iniziare a modificare le leggi come i DPCM del governo Conte. In questo caso non ci può essere per logica né giustizia né Dio. Quando ci scagliamo contro le persone, è giusto ricordare di “non giudicare e non sarai giudicato” e nel massimo del possibile gestire noi stessi, ma passare da questo a fare del cristianesimo una religione insapore no. Il cristianesimo vive nell’incontro con Dio, nella performazione dell’essere, nella verità logica, e nella rivelazione di Cristo, proprio per questo quando si stanno dicendo corbellerie o quando si sbaglia con gli atti è lecito e doveroso parlare, ma allo stesso tempo è doveroso parlare anche quando si sta andando bene. Bisogna cercare di conoscere la persona, ma nel nostro giudizio dobbiamo saper discernere tra persona e atto, fargli capire che il nostro giudizio riguarda l’azione, il comportamento. In tutto questo viene coinvolto anche il papa quando non parla ex cathedra esprime delle sue opinioni su argomenti di vario tipo, quindi sappiamo che il Vicario di Cristo nella maggior parte delle volte parla dà una sua opinione da teologo e può sbagliare. Non bisogna quindi essere papisti, noi riconosciamo l’autorità del papa, e la sua infallibilità ex cathedra, obbediamo a tutti i comandamenti che ci vengono dati e che non sono in contrasto con la fede, ma questo non significa che tutto ciò che dice il papa è frutto di infallibilità su tutto, anche lui sbaglia e può sbagliare, rivestire ogni parola fatta da un papa di perfezione significa ideologizzare, creare un mito, papa Francesco ci ha lasciato molto esternazioni teologiche ambigue ad esempio nell’ultimo periodo, e contestare queste, anzi fare chiarezza è il dovere di ogni singolo cristiano. Ogni cristiano ha il diritto e il dovere di chiedere spiegazioni quando le cose non vanno o sono in contrasto con la fede, con la dottrina, con il magistero, con la tradizione o con la stessa parola.

Foto di Sora Shimazaki da Pexels

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